LA SOFFERENZA É GENERATA DAI NOSTRI PENSIERI
Fin da piccoli cominciano e cominciamo a raccontarci storie.
Il racconto é talvolta così avvincente da diventare reale.
Da adulti, inconsapevoli, continuiamo a prendere per vere, oggettive, immutabili , le nostre credenze su noi stessi e sugli altri. Le storie che ci raccontiamo sono e diventano la nostra realtà.
Come ci insegnano i Costruttivisti non esiste una verità o un unico mondo reale, ma ciascuno di noi fornisce una propria versione della realtà e del mondo, in base alle proprie convinzioni, ai propri valori e ai propri schemi mentali.
Jean Paul Sartre in “L’infanzia di un capo” si interroga sulla potenza dei racconti che facciamo a noi stessi, sulla confusione su cosa sia vero e cosa no e così fa dire al piccolo Luciano “ma tu sei davvero la mia mamma, almeno? – Lei gli rispose : -Scioccherello, – […]
Da quel giorno Luciano fu persuaso che la mamma recitasse una commedia e non le disse mai più che l’avrebbe sposata quando sarebbe stato grande. Ma non sapeva troppo bene quale fosse questa commedia: poteva darsi che dei ladri , la notte del tunnel, fossero venuti a prendere papà e mamma nel letto ed avessero messo quei due lì al loro posto. Oppure erano papà e mamma per davvero, ma allora durante il giorno recitavano una parte e la notte erano del tutto diversi. […] Era divertente perchè tutti quanti giocavano. Papà e mammà giocavano ad essere Papà e Mammà: la mamma giocava a preoccuparsi perchè il suo tesorino mangiava tanto poco, papà giocava a leggere il giornale e ad agitare di tanto in tanto davanti al viso di Luciano dicendo: – Badabum giovanotto! – E anche Luciano giocava, ma finì per non sapere più molto bene a cosa. All’orfanello? O a essere Luciano?….”
A seconda della piega che i nostri racconti prendono, cambiano le nostre emozioni che sono diretta conseguenza delle storie che ci raccontiamo, scambiate per fatti incontestabili.
Di fatto interpretiamo continuamente gli accadimenti della nostra vita, costruiamo sui fatti dei pensieri o racconti mentali che, quando sono negativi, generano sofferenza emotiva e modificano il nostro umore rendendolo ansioso o depresso.
Non è mai il fatto in sè a generare ansia, paura, depressione, ma è il modo in cui ci raccontiamo l’evento che determina poi la nostra risposta emotiva.
Si è poi scoperto che a sua volta, l’ umore depresso scatena pensieri negativi in un circolo ricorsivo.
Tra l’accadimento/esperienza A e il comportamento che ne consegue C ci sono i pensieri, “believs” in inglese, B che formuliamo sugli accadimenti:
A accadimento/esperienza
B believs/pensieri
C comportamento/emozioni
Di fatto le nostre reazioni sono scatenate dai pensieri che facciamo su di essi e non dagli accadimenti in quanto tali.
Non possiamo modificare gli accadimenti, mentre possiamo lavorare sui pensieri e possiamo lavorare sull ‘esperienza.
-Il modello cognitivo comportamentale insegna, tra molte altre strategie, a trasformare il pensiero disfunzionale che scatena ad es. l’ attacco di panico in pensiero funzionale. (lavoro su B).
-Il modello sistemico costruttivista ritiene che la sofferenza sia l’espressione di una inadeguatezza tra le stroria che le persone raccontano di sè stesse e la propria attuale esperienza. Di conseguenza la terapia si focalizza sul processo di ri-narrazione delle storie.
-La Mindfullness o consapevolezza o presenza mentale e la pratica meditativa che ci aiuta a familiarizzare con i nostri processi mentali ci aiutano ad imparare ad osservare i nostri pensieri anzichè identificarci con essi. La Mindfullness porta a stare nell’esperienza così com’è, sia essa un suono, il respiro, un pensiero, una sensazione del corpo, limitandosi a registrare in modo gentile e non giudicante ciò che c’è in questo momento, senza aggiungervi altro. (lavoro su A)
In poche parole J. Kabat Zinn ci ricorda che bisogna permettere ad un suono di essere solo un suono, ad un pensiero di essere solo un pensiero e che lavare i piatti sia solo lavare i piatti.
Stare nell’esperienza significa portare attenzione ai propri pensieri essendo consapevoli che sono solo pensieri, non sono nè fatti, nè noi stessi, significa non restarne più intrappolati, ma lasciare che passino e si trasformino in qualcos’altro.
Significa smettere di prenderli per veri e vederne la vera natura: ovvero costruzioni della nostra mente. La consapevolezza è un azione intenzionale.
Restare attaccati ai nostri pensieri, credenze, alle storie che ci raccontiamo è la causa prima della sofferenza. La rimuginazione ossessiva che porta inevitabilmente alla derpressione è spesso una reazione automatica
Stare nell’esperienza significa anche portare la presenza mentale e la consapevolezza sulle sensazioni corporee e sul respiro osservandone il continuo mutare, significa cogliere la natura delle cose: ovvero l’impermanenza. Così impariamo, stando nell’esperienza, a lasciare andare, a non restare attaccati alle cose ma a darci il permesso di cogliere il loro fluire e il loro mutare.
Accogliere le cose così come sono, senza più volerle fuggire, evitare, cambiare forzosamente, aprirsi all’esperienza così come si presenta permette di fare spazio, e in quello spazio di accettazione le sensazioni cambiano, si trasformano, si sciolgono naturalmente.
Può sembrare paradossale che la fuoriuscita dalla sofferenza passi semplicemente dallo stare con lei, come dice J. Kabat-Zinn dal “respirarci dentro”…. ma cosi é.
Un percorso terapeutico aiuta a sviluppare consapevolezza di sè e dei propri processi mentali, ripulendo le esperienze da tutto ciò che la mente vi aggiunge, creando spesso sofferenza e dolore emotivo.
E’ inoltre la strada per aiutare a trasformare i pensieri che ci tormentano in pensieri funzionali alla nostra vita e alla nostra serenità.
Dott.ssa Giovanna Berengo